Stampa di venerdì 29 gennaio 2016, pagina 1
di Magri Ugo
Sulle ceneri della Lega nasce il lepenismo La passerella milanese di Marine Le Pen, accolta come una star da Matteo Salvini, cambia i connotati della politica italiana Introduce una nuova pericolosa sfida. Ripulisce la destra leghista dal suo carattere provinciale, anzi dialettale.
La radicalizza e perciò la rende più simile a quella che mette paura in tutto il resto del continente. Dove il populismo solleva ondate xenofobe così alte che la civilissima Svezia deporta in massa gli immigrati, e l’altrettanto esemplare Danimarca li spoglia dei loro cenci per coprire le spese.
Da ieri, il «lepenismo» ce l’ abbiamo in casa. La Lega si propone come «dépendance» italiana del Front National francese, un partito capace di raggiungere il 30 per cento alle ultime elezioni amministrative d’ Oltralpe. Nulla autorizza a ritenere che Salvini sarà in grado di eguagliare simili «exploit»: per il momento, Matteo li insegue al massimo col binocolo. Secondo certi sondaggisti, ha già dato il meglio (o il peggio, dipende).
Eppure la svolta maturata ieri nel raduno a Milano degli euroscettici dovrebbe allarmare, come si sarebbe detto un tempo a sinistra, tutti i sinceri democratici. Perché il partito lepenista italiano, che nasce sulle ceneri della Lega, surferà le ansie collettive con più spregiudicatezza e tanto maggiore cinismo di quanto erano capaci i vecchi personaggi della conservazione italiana, da Bossi allo stesso Berlusconi. Il quale solo adesso sta prendendo lezioni di Internet, con 25 anni di ritardo.
La metamorfosi era nell’aria. Da tempo Salvini ha chiuso in soffitta, insieme con i poster del Senatùr, pure l’indipendenza del Nord, la Padania, i riti pagani, le ampolle del Monviso e tutto l’armamentario caotico del leghismo prima maniera. Sono anni che tenta di sbarcare al Sud, con risultati fin qui scadenti perché da Roma in giù non dimenticano le ondate di odio contro i meridionali.
Però adesso il programma lepenista cuce addosso a Salvini una nuova t-shirt. Poche idee ma semplici, mutuate da Marine come pure dagli altri campioni euroscettici convenuti dall’Olanda, dall’ Austria, dalla Polonia, dalla Romania con la benedizione di Vladimir Putin. Tre no e un sì che meno ti aspetti.
No agli immigrati (la parola d’ ordine è «rimandiamoli tutti a casa»). No all’Islam, pronunciato con accenti da prima crociata. No all’ Europa, all’ euro e all’ austerità. E invece, a sorpresa, una spruzzata di socialismo reale che strizza l’occhio ai ceti più minacciati e rabbiosi, agli anziani, ai senza speranza. Marine Le Pen vorrebbe nazionalizzare le industrie in crisi e la pensione a 60 anni.
Le contraddizioni balzano agli occhi. Tutti gli euroscettici sono contrari all’«infamia» di Schengen, tutti quanti rivogliono indietro le frontiere. Nessuno invece, incominciando dalla destra francese, vuol prendersi carico dei migranti che sbarcano qui da noi, dunque il lepenismo fa a cazzotti con l’interesse dell’Italia a ripartire il fardello. I nazionalismi non ci porteranno lontano, aumenteranno solo risentimenti e tensione: lo ha ripetuto due giorni fa Mattarella (il Presidente tra l’altro ricorda che solo 5 anni bastarono a Hitler per impossessarsi della Germania, dunque mai abbassare la guardia).
Ma gli appelli al buon senso, alla coscienza civile, agli ideali europei non bastano a fermare i populismo quando i fatti remano contro. Se la Penisola sarà invasa dai profughi, se Bruxelles imporrà altri sacrifici, se chiuderà l’Ilva e se la crisi bancaria azzannerà i risparmi, allora per questa destra sarà più facile affondare i denti. Se invece Renzi negozierà un patto equo con l’Europa, dall’ immigrazione ai conti pubblici, allora anche la febbre delle paure si abbasserà. L’incontro di oggi con la Merkel a Berlino sarà un buon termometro.