Partigiani e Alleati: verso la liberazione (18-22 novembre 1944)

Arrigo BoldriniLa situazione è bloccata. Il fronte è fermo. Un altro inverno di occupazione? No, bisogna fare qualcosa. Parole molto comuni fra i partigiani dell’Italia ancora occupata, pensierosi di fronte alla sconfortante prospettiva di trascorrere anche l’inverno del 1944 sotto la dominazione nazifascista.

Questa paura è naturalmente condivisa dai patrioti romagnoli che, tra l’altro, vedono la linea del fronte a pochi chilometri di distanza. Infatti gli Alleati hanno già liberato Cervia. All’isola degli Spinaroni si decide perciò di prendere l’iniziativa.

Tra 17 e 18 novembre i comandanti della 28ª Brigata Garibaldi si riuniscono per concordare un piano d’azione che li conduca oltre il fronte per incontrare di persona gli Alleati. Inizialmente non sono tutti d’accordo: si prospetta un avventuroso viaggio in barca, tutt’altro che facile, e con il rischio che gli esponenti inviati non riescano poi a tornare indietro. Si decide di tentare comunque.

Nella notte del 18 novembre Arrigo Boldrini (Bulow), Mazzesi, Po, Tommy, Ermanno Trombini, Siccio, Antonio Maletto e due piloti fuggiti dai campi di concentramento, Rayso e Schuetz, (l’equipaggio è così indicato nel Diario di Bulow) partono per la pericolosa missione. Il gruppo salpa con una barca da pesca dal litorale di Porto Corsini.

La mattina del 19 novembre arrivano nell’Italia libera, a Milano Marittima, dove vengono accolti dalla polizia alleata. I comandi angloamericani, però, vogliono subito incontrare Bulow per essere messi al corrente della situazione aldilà del fronte. Così il comandante partigiano viene condotto a Viserba di Rimini, dove incontra vari ufficiali americani ed inglesi e trascorre il resto della giornata fra conferenze e consigli militari. Boldrini espone dettagliatamente lo stato della Brigata e propone un piano d’azione.

Sono due ufficiali inglesi ad interessarsi particolarmente e a credere nelle potenzialità del movimento partigiano: il maggiore Colquhoun e il capitano Rendall. Bulow e Rendall discutono a lungo, fino a tarda notte. Il capitano inglese è anche uno studioso di storia e intuisce subito l’importanza di preservare il patrimonio artistico di Ravenna. Propone così la parola d’ordine “Teodora”, utilizzata per le azioni belliche in comune. Il nome dell’operazione sottolinea con decisione l’impegno del comandante inglese verso la preservazione dei millenari monumenti ravennati, che molto probabilmente, senza la formulazione di questo piano, sarebbero stati gravemente danneggiati o addirittura rasi al suolo.

teodoraSi discute per altri due giorni. Il piano d’attacco è ormai delineato: mentre i partigiani impegneranno i nemici a nord, nella zona di Mandriole-Sant’Alberto-Casal Borsetti, gli Alleati saliranno da sud. Il ritorno dei partigiani in zona occupata, però, viene ritardato di un giorno a causa del mare in burrasca. La sera del 22 novembre è finalmente tempo di partire. Al gruppo partigiano si unisce il capitano canadese Dennis Healy, il cui compito è assicurare i collegamenti fra la Brigata “Mario Gordini” e il corpo militare alleato.

La missione ha buon fine. Partigiani e Alleati sono ormai pronti a sferrare l’assalto finale, quello per liberare Ravenna e cacciare i nazifascisti il più lontano possibile. Senza questo incontro preparatorio, gestire un attacco coordinato sarebbe risultato molto più difficile. La collaborazione tra queste forze che nutrono obiettivi parzialmente diversi (liberazione per gli uni, vittoria nel conflitto per gli altri), sarà fondamentale per i giorni a venire.

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