Le staffette sono ragazze del posto che portano documenti, notizie, tengono i collegamenti con i partigiani. Quasi sempre iniziano come vivandiere per fratelli, fidanzati, mariti e giovani anche mai conosciuti ma che hanno bisogno della loro assistenza. A volte assumono compiti militari e vivono nei distaccamenti. Corrono rischi altissimi, se scoperte c’è il carcere, la tortura, la fucilazione.
Il loro mezzo di spostamento è la bicicletta, con la quale passano tra i paesi e superano i posti di blocco, nascondono le carte nelle parti cave del telaio o sotto la sella, raramente nella propria persona. Quando c’è bisogno trasportano armi, nei casi di pericolo imminente vanno ai rifugi dei partigiani ad avvisare.
Danno un contributo enorme alla Resistenza. Lo fanno con buon senso e partecipazione responsabile. Ritenerlo sorprendente è un errore fatto troppe volte, e solo chi non conosce il ruolo della donna nella vita familiare e di comunità in tutta l’Emilia Romagna può compierlo; perché, di fatto anche se non di diritto, la donna condivide la responsabilità con il capofamiglia e sostiene le stesse lotte sociali (così come non sarà il suffragio universale che la farà protagonista, piuttosto è il suo protagonismo che pretende il suffragio universale).
Onestà d’analisi ci porta però a sottolineare che le staffette fanno parte di classi sociali definite: nelle campagne sono le ragazze braccianti e contadine, nelle città sono le studentesse e le operaie, modestissimo è il contributo della borghesia.