Giovani leader (tra il 10 marzo e il 7 aprile ‘46) tengono comizi perché ci sono le elezioni amministrative.
Sono di partiti diversi e hanno idee chiaramente diverse, ricorrono anche a elaborazioni teoriche già esistenti e vietate dal Fascismo. Ma i temi trattati riguardano preferibilmente le questioni contingenti e la ricostruzione. Il territorio ravennate ha subito bombardamenti e molte abitazioni sono crollate o pericolanti; mancano i ponti, le scuole devono riprendere a funzionare e così gli ospedali e l’assistenza sociale, ma più di tutto è la mancanza di lavoro che preoccupa in una realtà fortemente agricola, con poche fabbriche e quasi esclusivamente di dimensioni ridotte.
La gente partecipa e mostra interesse perché il Sindaco dipenderà dalle sue scelte, non più come il Podestà che veniva nominato dal Ministro degli Interni. E la preoccupazione di scontri fisici nel clima post-bellico, seppur giusta si mostra ingiustificata in tutta la provincia.
A Ravenna PCI e PSIUP e Pd’A si presentano insieme, così anche in provincia dove ci sono unioni anche solamente tra PCI e PSIUP.
Il PRI e la DC e il PLI stanno spesso da soli, rari sono i casi di unione tra DC e PRI, e tra PRI e Pd’A.
Altissima è l’affluenza al voto.
La sovranità popolare è sentita come il diritto-dovere d’intervenire nell’amministrare la Cosa Pubblica.
La coalizione di sinistra è prima in tutti i 18 comuni.
Il risultato in città è emblematico perché diventa Sindaco il comandante partigiano Gino Gatta, di estrazione popolare e conosciuto anche come Zalet