L’aggressione e la catastrofe (Michele Serra)

matteosalviniESSENDO i rom gli ultimi tra gli ultimi, i meno integrati e i più difficili da difendere, la Lega approfitta della loro impopolarità.

Lo fa per incassare, e non da oggi, i dividendi politici che spettano a chi promette di “fare pulizia”. L’aggressione subita ieri a Bologna da Matteo Salvini davanti a un campo rom, brutale e scomposta come gli incidenti da stadio, vale dunque, per il leader della Lega, come una medaglia sul campo.

Poco importa che i ragazzi aggressori (della piccola, nervosa, esposta nebulosa politica detta “area antagonista”) considerino “antirazzismo attivo” il loro presidio antileghista, e presumano di essere i soli veri oppositori. La realtà è che Salvini e il suo staff escono dalla giornata come aggrediti e come orbati del diritto di manifestare; e la strutturale intolleranza leghista, così bene articolata dal suo nuovo (e abile) segretario anche grazie alla fresca alleanza europea con i lepenisti, rischia di passare del tutto in second’ordine sul palcoscenico mediatico a fronte dell’irosa spedizione punitiva di ieri.

Che poi Salvini, nel solito dopopartita di Twitter, insulti i suoi aggressori, partecipando da protagonista allo scambio di bordate d’odio e di turpi insulti, è solo la conferma che un clima “antagonista”, di toni infocati e di contenuti spicci, è pane per i suoi denti. Nel floscio e molto procrastinato tramonto di Silvio Berlusconi, a destra si è aperto uno spazio politico molto allettante. Salvini se ne è accorto, sa che esiste un elettorato al quale piace “la schiena dritta”, è uno che parla chiaro, radicalizza le questioni, conquista gli elettori che si sentono orfani di una destra-destra che allo Stato chiede di essere duro con gli stranieri e di non rompere le scatole con le tasse, che al resto ci pensa “il popolo” nella sua autonoma e fervida vivacità d’azione. Dei populismi italiani, dopotutto, quello leghista è il più antico, precede di un buon decennio l’assemblearismo del web, e il nuovo segretario della Lega può rivendicarlo con pieno agio.

“Chiudere i campi Rom”, a parte l’inevitabile puzza di pogrom che aleggia, è una gratuita sciocchezza, equivale a dire “aboliamo la meningite”, finge di risolvere un problema cancellandone l’evidenza. Ma soddisfa l’ansia di protezione dei più fragili e spaventati, elettoralmente premia tanto quanto promettere (come fece con irripetibile maestria Silvio) di levare l’Imu salvo poi rimpiazzarla con una tassa di altro nome. Matteo Salvini sa che almeno una fettina di Italia gli spetta, ha lasciato perdere le illusioni vintage su secessione e Padania, cavalca la sua onda (che è quella del populismo xenofobo, antieuropeo e antistatale) da politico di lungo corso, esperto ed energico: nei sondaggi veleggia verso il 10 per cento. Anche lui, sia detto non tra parentesi, è un “politico di professione” come tutti i leader vincenti del momento, Renzi su tutti, gente che ha cominciato dopo il liceo a frequentare i consigli di quartiere, le amministrazioni comunali, le assemblee, gli umori della gente. Un poco di “professionismo politico”, va detto, farebbe un gran bene agli animosi dilettanti che gli hanno sfasciato la macchina, ieri a Bologna, regalando alla Lega un altro po’ di voti e levando a se stessi il diritto di parlare in nome dei diritti democratici di chicchesia. Politicamente parlando, una catastrofe.

Da La Repubblica del 09/11/2014.

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