La Colonna Wladimiro (dal nome di battaglia del suo comandante) deve ostacolare i tedeschi che si ritirano per la via Reale verso Ferrara. È composta dal distaccamento Tarroni e dai GAP e dalle SAP (Squadre di Azione Partigiana) che operano nella zona di Alfonsine; deve anche condurre i distaccamenti Babini e Strocchi verso l’isola degli Spinaroni, al Terzo Lori.
Ha una forza non inferiore alle 400 unità, divisa in compagnie, con armi leggere ma non per tutti.
In attesa dell’azione il comando del CLN le assegna il casso di Madonna Boschi perché relativamente sicuro (un’area vasta, tra il fiume Reno e le valli di Comacchio). Gli uomini vengono distribuiti nelle boarie e vi sono subito alcuni scontri con i tedeschi, non voluti ma inevitabili. Il primo quando una pattuglia (è il 2 dicembre) entra in contatto casualmente con una postazione di contraerea nemica e vi è un’intensa sparatoria dove Primo Guerra viene colpito a morte.
Il giorno seguente, numerosi tedeschi entrano nella boaria detta Pileria del riso, dove incontrano oltre 50 partigiani che prima sparano e poi si dileguano.
È il preludio all’azione militare importante.
Infatti, il tempo di organizzarsi e le forze corazzate del 70° Panzer Korps, dalla strada di Longastrino si muovono verso il Ponte di Madonna Boschi. Procedono con camion di truppe e cannoni da 88, ma due compagnie partigiane li sorprendono e iniziano a sparare da posizione favorevole, a ridosso dell’osteria Bernabé.
La battaglia è lunga e, indirettamente, coinvolge anche le famiglie che stanno sulla via per Anita, le quali si spostano all’interno del casso e cercano protezione dai partigiani. I tedeschi colti sulla strada con pochi ripari subiscono molte perdite.
Con l’arrivo del primo buio Wladimiro decide, dopo un contatto con Bulow, che è il momento di sganciarsi. Si forma una lunga colonna di uomini armati, ma anche di anziani, donne, bambini che percorre l’argine sinistro del fiume Reno, arriva al traghetto di Sant’Alberto, non attraversa ma prosegue e s’infila in una striscia all’interno della valle di Comacchio, conosciuta come Cà di Bosco Forte.
Segue una notte di preoccupazione e freddo e silenzio. Tutti sono ben consapevoli che, se individuati, possono essere colpiti dalle armi pesanti e non vengono accesi i fuochi.
Intanto i partigiani vengono informati della già avvenuta liberazione di Ravenna.
Al mattino seguente i tedeschi non ci sono, dopo lo scontro si sono ritirati paventando ingenti forze partigiane.
È un sollievo.
Le famiglie, dopo la mala notte (lì, con l’alta marea, l’acqua sale fino ai ginocchi), vengono sistemate presso case della zona. La solidarietà è fortissima e quando i partigiani entrano a Sant’Alberto la popolazione li accoglie con entusiasmo.
Ancora una volta i santalbertesi, per storia antifascista e conoscenza del terreno vallivo e quindi dei rifugi, risultano fondamentali alla buona riuscita della lotta di liberazione (questo paese sin dai primi momenti dà uomini e alimenta quanti stanno in clandestinità, dà anche staffette coraggiose ed efficienti).
Wladimiro deve costatare però che gli Alleati non si mostrano; gli inglesi, che secondo i piani stabiliti con Bulow avrebbero dovuto avanzare fino a Ponte Bastia, si sono invece fermati. Preoccupato, pone i suoi su posizioni difensive sulle strade in direzione Longastrino, Mandriole, Savarna.
Non sbaglia.
Infatti, i tedeschi, consapevoli che i partigiani sono rimasti soli, ritornano a Sant’Alberto con i carri armati Tigre e parte lo scontro che va sotto il nome di Battaglia delle Valli.