La stampa, 5 marzo 2019 – Buongiorno di Mattia Feltri
Saremmo ancora in vita
Il primo fu monsieur Jacques de La Palice, pover’uomo. Ucciso in combattimento, fu seppellito con affettuoso epitaffio dai suoi soldati: “Ci-gît monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il ferait encore envie”. Cioè: se non fosse morto, farebbe ancora invidia. E però, per questione di caratteri e di spazi, la scritta si leggeva anche così: “Si il n’était pas mort, il serait encore en vie”. Cioè: se non fosse morto, sarebbe ancora in vita. Da lì l’aggettivo lapalissiano: qualcosa di talmente ovvio da risultare ridicolo. Poi fu Massimo Catalano, raffinato jazzista, che quel gran genio di Renzo Arbore elevò a filosofo perché il talmente ovvio fosse volontariamente ridicolo. “È molto meglio innamorarsi di una bella donna, intelligente e ricca, anziché un mostro, cretino e senza un soldo”, diceva Catalano, e lì in studio e noi a casa si rideva parecchio, e da allora non si dice più lapalissiano, ma catalanata. Accidenti, ora è arrivato Sergio Mattarella (tanta solidarietà a questo presidente) il quale ieri ha dedicato qualche sforzo a spiegare che “le scelte politiche sono impegnative, complesse, non possono essere adottate in maniera approssimativa, senza approfondita preparazione e studio, per sentito dire”. Insomma, dice il presidente: prima si studia, poi si pensa, infine si decide. Mentre la sintassi attuale impone che prima si decida, poi forse si pensi, di sicuro non si studi9. Ed è ai nostri fortunati giorni – né per refuso su La Palice né per celia di Catalano, ma per disperazione di Mattarella – che il talmente ridicolo è diventato drammaticamente ovvio