Il 19 febbraio i repubblichini vogliono dare una prova di forza: la salma di Ettore Muti (Segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista, ucciso a Fregene durante il suo arresto da parte dei carabinieri) arriva da Roma, viene esposta nella camera ardente della Federazione e poi portata in piazza San Francesco, dove parla Alessandro Pavolini. Tutte le federazioni emiliane romagnole mandano delegati per le esequie funebri. Da Milano, Torino, Bologna, Genova, Firenze, Roma arrivano fotografi e giornalisti e operatori del cinegiornale. Pavolini esalta la figura di Muti, eroico combattente della Prima ora e indomito militare e fervente fascista, accusa per la sua morte i traditori servi di Inghilterra, America, URSS (un falso, ancor oggi risulta essere stata una faida interna al Fascismo stesso) poi passa alla guerra e i riferimenti sono tutti rivolti all’importanza dell’alleato germanico, alla sua forza, al fatto che nei laboratori delle grandi industrie belliche, i suoi capacissimi tecnici stanno ultimando nuove e segrete armi risolutive. L’occasione è quella di un incontro di esaltazione del Fascismo repubblicano e della continuazione della guerra, senza tentennamenti. In chiusura c’è un attacco ai pavidi, agli imboscati che vanno smascherati immediatamente e puniti in modo esemplare. Bisogna ferrarizzare!
I ravennati però, e chi perché in contatto con il movimento partigiano e chi per propria scelta, assumono un comportamento palesemente ostile restando in casa. Si verifica così quello che non doveva accadere; ovvero, tranne pochi uomini che in borghese seguono il feretro e ascoltano l’orazione funebre, tutti gli altri sono in orbace. Una città veramente del silenzio nella giornata fredda e umida, solo scarponi militari e armi e parole gridate dall’oratore.