Chi si stupisce del fascioleghismo

di Paolo Berizzi, La Repubblica, 27 ottobre 2019

L’effetto CasaPound che scuote il centrodestra liberale nella desistenza al sovranismo di Salvini sta alla politica come un fulmine a cielo peturbato sta alla meteorologia: lo registri. Ma poi ti chiedi: perché stupirsi? Di cosa? E come mai, nel caso specifico, solo ora?

Anzitutto: la piazza nero-verde non è un inedito, è un remake, e dunque una conferma – l’ennesima – del feeling ormai osmotico tra la Lega ed i gruppi neofascisti.

Ma soprattutto: dov’erano gli antifascisti di Forza Italia, la resistente Carfagna e (pochi) altri, quando, nel 2015, l’alleato Salvini scendeva in piazza contro gli immigrati con l’ultradestra dei saluti romani? Era o non era lo stesso centrodestra unito – Lega, FI e FdI – che a maggio dello stesso anno eleggeva Zaia in Veneto e Toti in Liguria?

La politica, si sa, è opportunità e tempismo. Solo così si può spiegare la torsione con cui Silvio Berlusconi – il primo sdoganatore ufficiale dei post fascisti (“Lega e fascisti in parlamento grazie a noi”) – ha infine deciso di presenziare oggi all’adunata sovranista di piazza San Giovanni (Lega più FdI, più “Cambiamo” di Toti, più CasaPound, più Forza Nuova più altri ed eventuali. Nonostante il coraggioso altolà di Mara Carfagna.

È chiaro che questa giostra, più che ai camerati, gira intorno a Salvini. Perché finché si stava all’adesione di CasaPound alla manifestazione – ampliamente prevedibile visto l’asse col Capitano, rinsaldato dopo le elezioni europee – eravamo nell’ambito del quasi-scontato. Ad alzare l’asticella è stata la replica alle polemiche del capo leghista. Parlando di “piazza aperta a tutti gli italiani di buona volontà” l’ex ministro e leader del centrodestra sdogana ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, i “fascisti del terzo millennio”, i suoi amici pregiudicati, ex alleati, e con loro, dunque, la galassia delle camicie nere salite sul nuovo Carroccio nazionalista. Chi si stupisce di piazza San Giovanni si è perso cinque anni di fascioleghismo filo-russo. Cinque anni di slogan in comune (“Prima gli italiani”), cene, libri, giubbini identitari, stadi, ronde, sedi occupate e mai uno sfratto.

Chiedere a Salvini di mollare i fascisti è uno sforzo inutile.

Non lo può fare. Per tre motivi.

Primo: li ha risvegliati lui a suon di “me ne frego”, “io non mollo” e una lunga serie di assist. Sarebbe innaturale li spegnesse adesso che è all’opposizione.

Secondo: gli fanno molto comodo. Sono la cerniera con un elettore che è molto più largo delle briciole di CasaPound e Forza Nuova (aspirate dalla Lega) e che abbraccia dei mondi che il Capitano in questi anni ha oliato e massaggiato esponendosi a critiche e figuracce. Non soltanto le curve degli stadi – decine di migliaia di voti – ma pure la pancia grigio-nera del Paese, quell’Italia carsica che non smette di subire il fascino di un nemmeno troppo velato cesarismo (“datemi i pieni poteri”).

Terzo motivo. Con CasaPound in particolare c’è un patto sottotraccia che non si è mai sciolto e che ha ancora una rappresentazione plastica nelle tavolate dove Salvini era l’ospite d’onore dei fascisti, osannato insieme al fidato braccio destro Raffaele Volpi, oggi presidente del Copasir.

“La Lega ha sempre tenuto i rapporti con la destra estrema. Ecco perché il suo leader non può permettersi di romperli.”

In Lega ci sono uomini di collegamento che fanno questo lavoro: tenere vivi i contatti con l’estrema destra (da Nord a Sud). Che CasaPound sia sotto inchiesta per tentata ricostituzione del partito fascista, chi vuoi che imbarazzi.

La tartaruga nera ha scelto di non essere più un partito ed è tornata movimento.

Una svolta motivata solo dall’ultimo flop elettorale (pro-Lega), o anche dall’esigenza di sembrare meno impresentabile qualora qualcuno decidesse di farla rientrare dalla finestra, magari come costola movimentista, in appoggio esterno ad un’opposizione di destra-destra?

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