Nel tardo pomeriggio dell’8 settembre 1943 la notizia dell’armistizio è giunta anche a Cefalonia, la più grande isola greca del mar Ionio. I soldati della Divisione “Acqui”, di stanza nell’isola, festeggiano la fine della guerra insieme alla popolazione, senza sapere che il conflitto è in realtà ben lontano dalla conclusione. Le prime disposizioni dei comandi italiani sono di mantenere un atteggiamento di neutralità rispetto ai tedeschi, ma il giorno dopo cambia tutto.
Arriva l’ordine di consegnare le armi ai nazisti. Il generale Antonio Gandin, a capo della Divisione “Acqui”, rifiuta e prende tempo, ritardando la consegna delle armi di giorno in giorno. Questa situazione di stallo prosegue per una settimana, con le truppe italiane sempre più tese e scontente della contraddittoria condotta dei propri comandanti.
Nel frattempo gli alti comandi nazisti ordiscono l’inganno. Il generale Lanz comunica al colonnello Barge, comandante delle truppe naziste a Cefalonia, di informare gli italiani che i prigionieri saranno riportati in patria, ma la vera destinazione è Belgrado.
Con molta probabilità i comandi italiani hanno intuito l’inganno e via radio comunicano alla “Acqui” di considerare le truppe tedesche come nemiche. Nella notte fra il 13 e 14 settembre avviene un fatto davvero singolare in campo militare: alcuni comandanti chiedono ai soldati se preferiscono combattere o cedere le armi. È una specie di referendum e la maggioranza decide di lottare.
Il pomeriggio del 15 inizia il combattimento. I vecchi alleati sono ora nemici in una guerra feroce. I tedeschi bombardano le posizioni italiane da terra e per via area, mentre la “Acqui” spera vanamente in una copertura aerea o in uno sbarco dei loro nuovi alleati, gli angloamericani. La battaglia continua fino al 22 settembre, quando il generale Gandin è costretto ad accettare una resa senza condizioni.
La vendetta tedesca non si fa attendere, la “Acqui” deve pagare per la sua resistenza. Gli abitanti di Cefalonia testimoniano violenze e brutalità di una ferocia indicibile ai danni dei soldati italiani. Il numero delle vittime non è ben chiaro e nel corso degli anni si susseguono stime diverse e contraddittorie. Il generale Gandin viene fucilato separatamente il giorno 24, alcuni sono rastrellati e giustiziati sul posto, mentre molti vengono radunati in un fabbricato, tristemente noto come “casetta rossa”, e uccisi senza pietà. Il 25 settembre il massacro è compiuto. I morti giustiziati sono centinaia e a loro si aggiungono quelli già periti in battaglia. La tragedia non finisce qui, perché più di mille superstiti perdono la vita nel naufragio delle navi che li trasferiscono in Germania per lo smistamento nei campi di concentramento.
Nonostante siano passati oltre settant’anni, i fatti di Cefalonia non devono essere dimenticati. Nel discorso tenuto a Cefalonia il 1° marzo 2001, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, rendendo omaggio alle vittime, afferma che la decisione di combattere presa dalla Divisione “Acqui” rappresenta «il primo atto della Resistenza di un’Italia libera dal fascismo».