Verso la metà di novembre del 1944 la linea del fronte è ormai vicinissima a Ravenna. Le pattuglie tedesche controllano con attenzione i confini a sud. Il 16 novembre un paio di soldati tedeschi sono in giro. Sanno che presto dovranno arretrare ulteriormente e si preparano a far saltare ponti e strade. Hanno anche piazzato un enorme numero di mine per rallentare l’avanzata degli Alleati.
Nel pomeriggio del 17 novembre il giovane parroco di Villa dell’Albero (oggi Madonna dell’Albero), don Domenico Mario Turci, è intento a segnalare l’ubicazione di alcune mine sul sagrato della chiesa. Lo fa per evitare un’altra tragedia, dopo quella del diciannovenne Domenico Marzaloni, morto il giorno prima. Cinque soldati tedeschi lo sorprendono e decidono di arrestarlo.
Il giovane prete viene interrogato e picchiato, poi è trascinato fuori dal paese. Alcuni testimoni vedono don Turci e la squadra fascista dirigersi verso via Ravegnana, poi tornare indietro all’argine del fiume Ronco. Da allora nessuno più l’ha visto.
Passano i giorni e pare che i tedeschi abbiano abbandonato la zona. Infatti, stanno concentrando le loro difese a nord, sul fiume Lamone. A questo punto le testimonianze e le ricostruzioni offrono due diverse versioni sulla causa scatenante l’imminente eccidio.
L’una ci dice che nelle acque del Ronco, abbassate dopo una piena, viene a galla il corpo di un soldato tedesco, fatto prigioniero pochi giorni prima da alcuni abitanti di Villa dell’Albero.
L’altra afferma che la mattina del 27 novembre un gruppo misto di partigiani e militari alleati decide di perlustrare l’area, ma una trentina di tedeschi, comandati dal colonnello Lothar Berger, sono ancora lì. Ne nasce uno scontro, durante il quale un tedesco perde la vita. Partigiani e alleati riescono a fuggire.
Nel diario della divisione tedesca si legge che, dopo aver respinto l’offensiva nemica, la truppa si è recata nel covo dei banditi dove sono arrestati e giustiziati 56 partigiani.
Una versione ben distante dalla realtà. Infatti, a quel punto, i nazisti se la prendono con la popolazione inerme. Passano di casa in casa ed arrestano tutte le persone che trovano. Li ammassano tutti assieme dentro un capanno isolato lungo la via Nuova e poi fanno fuoco con le mitragliatrici. Le vittime di quel triste giorno sono 56, fra cui vecchi, donne, ragazzi e bambini. Alla strage sopravvive miracolosamente Mario Mazzotti che, un attimo prima degli spari, riesce a rifugiarsi nel vano di una botte interrata. Rimane sommerso per ore dai cadaveri dei suoi amici e vicini di casa.
Questa è l’ultima grande strage avvenuta nel Ravennate. Di lì a pochi giorni, infatti, le forze partigiane e alleate attaccano i nazifascisti costringendoli a ritirarsi nell’estremo nord della provincia.
Al termine del conflitto le autorità locali tentano di fare chiarezza sulla vicenda e scoprono la scarna sepoltura dei 56 realizzata dai tedeschi. Il 18 febbraio 1946 via Nuova, teatro di quell’immane tragedia, viene rinominata in ricordo delle vittime: ancora oggi si chiama via 56 martiri. È lungo questa strada che ci si può fermare per rendere omaggio al sacrario e ai suoi caduti.