Marzo 1944. L’esercito alleato è bloccato nel sud del Lazio, fra Anzio e Cassino, mentre a Roma le forze partigiane cercano di riprendere la propria azione dopo un terribile inverno. I Gap sono disuniti e così si pensa ad un’azione di riscossa per rilanciare la lotta contro il nazifascismo nella capitale.
La data scelta per l’attacco contro i tedeschi non è casuale: 23 marzo 1944, venticinquesimo anniversario della fondazione dei fasci di combattimento. Stabiliscono di agire in via Rasella. Il bersaglio è la compagnia di polizia tedesca “Bozen”, un reparto addestrato e in assetto da guerra.
Intorno alle 15.30 i partigiani romani vedono sfilare i tedeschi, viene dato un segnale e la miccia si accende. Pochi secondi dopo si ode una tremenda esplosione. Quando il fumo si alza trenta soldati rimangono a terra senza vita, mentre decine sono i feriti. Poche ore più tardi ne muoiono altri due, portando le vittime tedesche a 32. L’attentato coinvolge anche due vittime civili, non calcolate, non viste dai partigiani che hanno preparato l’agguato. Uno è il partigiano Antonio Chiaretti, l’altro è il tredicenne Piero Zuccheretti.
I nazisti intanto non perdono tempo. Il generale Kurt Maeltzer, detto “il re di Roma” chiama la Germania e chiede disposizioni. Hitler risponde «50 italiani per ogni tedesco morto». Ma il feldmaresciallo Kesserling sa che non ci sono abbastanza prigionieri ed abbassa la proporzione a 10 italiani per ciascun tedesco.
Ad occuparsi della vendetta viene chiamato il maggiore delle SS Herbert Kappler che durante la notte sceglie accuratamente le vittime per vendicare i 32 soldati tedeschi uccisi (altri 10 perdono la vita nei giorni seguenti). Devono essere presi 320 ostaggi, ma dal carcere di Regina Coeli arrivano quindici prigionieri in più. Ha poca importanza per i carnefici. Piuttosto serve un luogo isolato per consumare la vendetta e si pensa subito alle cave di via Ardeatina.
Il 24 marzo 1944 i prigionieri vengono condotti alla fosse a bordo di camion coperti. Nessuno deve vedere. Lì attendono disposti in fila e poi fatti entrare in cinque alla volta. Nel buio della cava sono costretti ad inginocchiarsi e poi cinque soldati sparano loro alla testa. Dall’esterno gli spari non si sentono, ma man mano che si va avanti il sangue aumenta e le vittime comprendono il loro destino. I nazisti si danno il cambio per uccidere, anche Kappler spara, due volte, mentre il capitano Priebke segna una croce di fianco al nome dei giustiziati. Alle dieci e mezzo di sera è tutto finito e mezz’ora più tardi i genieri fanno saltare la cava per nascondere l’accaduto.
Tra le vittime vi sono ebrei ed antifascisti, gappisti e persone comuni. Commercianti, artigiani e artisti. Ci sono il colonnello badogliano Giuseppe Montezemolo, il carabiniere-partigiano Gaetano Forte, il professore di filosofia Gioacchino Gesmundo. C’è un vecchio settantaseienne e ci sono tre adolescenti, di quattordici, quindici e diciassette anni.
Con la strage i nazisti vogliono riportare la calma nella capitale, ma ottengono l’effetto contrario. I Gap romani si rimettono subito in moto con alcune offensive tra fine marzo e inizio di aprile.
La “sepoltura” delle fosse Ardeatine viene scoperta circa un mese più tardi, il 23 aprile 1944. Nei giorni seguenti la popolazione piange le 335 vittime della vendetta nazista.
31 gennaio 2015, appena eletto in Parlamento, il neo Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella si reca alle fosse Ardeatine. Dopo un lungo silenzio di raccoglimento dichiara: «L’alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista, antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso. La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore» (Ansa).